Mériadec Le Clainche – La Scultura Come Genesi del Ritorno
Nel panorama dell’arte contemporanea, dove il confine tra naturale e artificiale tende sempre più a sfumarsi, l’opera di Mériadec Le Clainche si staglia come un atto di rara intensità poetica e concettuale. Scultore e designer d’arte francese, bretone d’origine e di spirito, Le Clainche ci
sorprende e affascina con creazioni che sfidano le categorie e restituiscono alla materia un’anima nuova, vibrante e profondamente viva.
La sua produzione, esposta anche nella mostra internazionale “I AM– A Deep Exploration of the Artist’s Essence”, è un viaggio sensoriale e intellettuale attraverso la memoria dei materiali e la potenza rigenerante della natura. Le sue sculture non si limitano a occupare uno spazio fisico:
lo trasformano, lo interrogano e lo attraversano. Sono creature ibride, nate da acciaio, corallo,
cristalli, pietre e frammenti di aeroplani, che vivono nel punto esatto in cui l’uomo e il mondo
naturale si incontrano – o, meglio, si fondono in una danza silenziosa ma carica di tensione
vitale.
La cifra stilistica che Le Clainche definisce “oxydovégétalisation” è molto più di una tecnica: è
una vera e propria poetica, una filosofia estetica ed esistenziale. Attraverso l’ossidazione del
metallo e la successiva innervazione di elementi organici – fiori, corallo, cristalli – l’artista costruisce paesaggi scultorei in cui il degrado e la rinascita convivono, si toccano, si nutrono a vicenda. La ruggine, segno del tempo e della corrosione, diventa terreno fertile per la bellezza che rifiorisce. Il pezzo di aereo, scarto tecnologico e relitto industriale, si trasforma in corpo fertile, grembo inatteso di una nuova vita.
Straordinari sono i suoi pilastrini di acciaio, sinuosi, eretti, segnati dal tempo ma punteggiati da fiori metallici, frammenti di ametista, corallo scolpito con una pazienza quasi monastica. Ogni opera sembra raccontare una storia fatta di ferite e fioriture, di fragilità e resistenza, come se la
materia stessa si facesse carne, pelle, memoria. In altri lavori, più compatti ma non meno
potenti, l’acciaio abbraccia pietre preziose, elementi vegetali o animali, generando microcosmi perfettamente bilanciati tra l’industriale e l’organico, tra l’antico e il futuribile.
La manualità del forgiatore convive con l’immaginazione visionaria del designer, restituendo opere che non sono mai fredde o autoreferenziali, ma autenticamente vibranti, sempre in dialogo con chi le osserva. Ogni scultura è un’epifania, un varco temporale che unisce archeologia industriale e mitologia naturale. Le Clainche non si limita a creare oggetti: crea ponti, tessuti nervosi che uniscono il ferro all’essenza della vita. Nella sua arte, il gesto umano
non sovrasta, ma si lascia guidare dalle leggi misteriose della natura.
In questo, egli è artista nel senso più pieno e insieme artigiano del sacro: il sacro inteso come
ciò che merita rispetto, ascolto, contemplazione. Non sorprende che le sue opere trovino spazio
in contesti internazionali e gallerie di prestigio: il suo linguaggio è universale, la sua visione profondamente necessaria. In un tempo in cui la natura è spesso ridotta a vittima o a risorsa da sfruttare, Mériadec Le Clainche ce la restituisce come compagna e maestra, capace di redimere
anche ciò che l’uomo ha dimenticato o distrutto.
Le sue “sculture viventi” sono rituali di guarigione, incarnazioni di un pensiero che osa ancora credere nella bellezza come forza rigenerante. Non vi è nulla di decorativo o accessorio nella sua arte: tutto è essenziale, tutto parla. Il metallo ferito, il corallo pazientemente intarsiato, il
fiore che nasce dalla ruggine: ogni elemento è il frammento di un poema visivo che canta la
meraviglia della contaminazione, della metamorfosi, del ritorno alla vita.
Mériadec Le Clainche è, a pieno titolo, un genio della scultura contemporanea.Non solo per l’incredibile maestria tecnica o per la bellezza magnetica delle sue creazioni, ma per la profondità del suo sguardo,
capace di penetrare nel cuore della materia e trasformarla in visione.
In un mondo che tende alla distrazione e alla velocità,
le sue opere ci obbligano a fermarci, a guardare, a ricordare.
E, forse, a sperare.
Claudia Mantelli