“Atlantis” is a beautiful and touching Artwork of Delia Saba, is an explosion of pure and proper ‘unconscious.
By True is even more interesting but it is sufficient to enlarge it, double clicking, to witness this abstraction where conceptuality dominates the Artwork.
Looking closely appears, as if by magic, a crowd of people walking in ‘water, which can remember, extrapolating from subjective memory the inport of Atlantis and the sinking of a brilliant company, which still represents many mysteries.
Despite the talk of Atlantis, the very interesting thing is the fact that this crowd was unconsciously created by ‘Artist, tied to the land and, above all, to his Sea.
Italiano “Atlandide” é una splendida e toccante Opera d’Arte di Delia Saba, é un’esplosione pura e propria dell’ inconscio.
Dal Vero é ancora più interessante ma é sufficiente ingrandirla, cliccando due volte, per assistere a questo astrattismo dove la concettualità domina l’Opera.
Osservando attentamente appare, come per magia, una schiera di Persone che camminano nell’ acqua, che possono ricordare, estrapolare dalla memoria soggettiva l’inportanza di Atlantide e lo sprofondamento di una società brillante, che ancora oggi rappresenta tanti misteri.
Nonostante il discorso su Atlantide, la cosa molto interessante é il fatto che questa folla sia stata creata inconsciamente dall’ Artista, legata alla sua terra e, soprattutto, al suo Mare
Complimenti Delia Saba.
Claudia Mantelli Art Curator.
Barbara Romanelli Photography-Untitled- All Right reserved.
RINO CARDONE, CRITICO D’ARTE RAI PARLA DI BARBARA ROMANELLI:
C’è una dimensione sensuale ed erotizzante dell’arte moderna e contemporanea (tanto nella pittura, quanto nella scultura e nella fotografia) che spinge alla lettura del corpo umano in maniera seducente, passionale e provocante. È quella che trova – nell’ambito più ristretto della fotografia – i suoi maggiori antesignani in Albert Arthur Allen (1886-1962), Wilhelm von Gloeden (1856-1931) e Robert Mapplethorpe (1946-1989). Sulla traccia – estetica ed estetizzante – della loro ricerca fotografica, s’inserisce l’esperienza artistica di Barbara Romanelli: fotografa capace di “governare” lo “specifico” della figura umana e l’”essenza minimalista” del “dettaglio fisico” e del “particolare ambientale”, al fine di provocare – nell’osservatore della sua opera – un “battito di palpebre” (una sorta di ammiccamento dell’anima, dello spirito, oltre che dell’occhio). Tutto questo nella piena consapevolezza che la storia di una vita umana (come sosteneva un cantautore di “dissacrante visionarietà artistica” come Jimi Hendrix) è più breve di un “battito di ciglia”. Una vita, dunque, dalla quale trarre beneficio. E, se possibile, in fretta. Consapevole di questo, Barbara Romanelli porta avanti una ricerca elegante, nella sua “carnalità espressiva” e nella “natura ammiccante” dell’”osservazione estetica”, che lei fa della realtà. La sua è una ricerca “giocata” sulla linearità delle forme del corpo umano e che mostra l’irresistibile fascino della figura femminile: in grado di colpire in maniera intensa (quando proposta, elegantemente, in forma fotografica) il nostro “sistema emozionale”: generale e complessivo. A giudicare dall’enfasi che Barbara Romanelli presta nei confronti della “corporeità fisica” e nei riguardi dell’”armonia del corpo” (per certi aspetti, fortemente, “interiorizzata” prima di essere “fissata” con lo scatto fotografico) si potrebbe pensare ad una ricerca – in qualche modo – “minimalista” di Barbara Romanelli. Ma l’accento che lei pone sull’espressività umana, sul “calore emozionale” e sullo “scavo interiore” (che lei effettua nei confronti della realtà, al fine di riuscire a far emergere il “senso esistenziale” dell’individuo e la “vibrazione passionale” che si accompagna ai diversi “sensi fisici” della persona) fanno di lei una fotografa attenta, più che mai attenta, non solo alla “bellezza tout court”, ma anche alla “problematicità della vita”. Perché la verità è che dietro ad ogni corpo (sembra dirci Barbara Romanelli con le sue fotografie) si nasconde un “vissuto umano” e una “storia personale”. E non sempre si tratta di storie belle, chiare, limpide, armoniche e lineari. Talvolta si tratta, invece, di storie complesse, molto complicate, in chiave esistenziale e esistenzialista. E lei ci mostra tutto ciò, dopo aver avuto (nel recente passato) un approccio con la fotografia che passava (quasi esclusivamente) dalla “visione della natura” e dall’”osservazione dell’ambiente urbano”: oggi, però, approdata (rimarchiamo) a delle “soluzioni estetiche” che sono prive di “fronzoli estetici” e che mancano di “orpelli stilistici”. Una ricerca, insomma, “essenziale” nei contenuti e illusoriamente “plastica” (se vogliamo) nella traduzione delle luci e delle forme, sul supporto fotografico.
Rino Cardone – Critico d’Arte
Caposervizio TGR RAI Radiotelevisione Italiana
Antonio Ricci nasce ad Isernia nel 1958, dove tutt’ora vive ed opera.
La sua infanzia è stata molto dura, sia per motivi familiari, sia per le condizioni economiche della famiglia; all’età di 5 anni fu mandato in collegio, a 8 anni i suoi genitori divorziarono e si trovò di fronte alla dura scelta di decidere con chi stare.
Questo è solo un cenno del percorso di crescita, diventare adulto, per il Maestro, è stato un sacrificio giorno per giorno.
La sua vocazione per l’arte nasce fin dai primi anni scolastici, crescendo in lui una passione forte per il disegno e il piacere di mescolare i colori.
Ha sempre ritenuto importante avere delle basi di studio per il suo percorso artistico, infatti all’età di 14 anni si iscrive all’Istituto Statale d’Arte di Isernia, conseguendo prima il diploma di Maestro d’Arte, poi nel 1978 la maturità d’Arte Applicata come disegnatore di architettura di arredamento. L’anno seguente, a Napoli, frequenta l’accademia di Belle Arti, sotto la guida del prof. De Stefano.
Dopo un intenso periodo nel quale l’Artista è stato fortemente ispirato dalla natura, dagli oggetti di vita quotidiana e da paesaggi bucolici, è cresciuta in lui una sofferenza che vede contrapporsi la mancanza dei ricordi passati, la ricerca continua di un tempo ormai perduto e un presente che va, via via, sempre di più verso un mondo tecnologizzato.
Dal 1980 ad oggi ha partecipato a numerosissime mostre personali e collettive, a concorsi nazionali ed esteri, conseguendo premi e critiche favorevoli. Alcune sue opere sono esposte in vari musei Italiani e Americani.
Inoltre il Maestro Antonio Ricci ha dipinto una delle 63 stanze dell’Alexander Museum Palace Hotel di Pesaro del Conte Alessandro Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina, con una grande composizione policroma che invade tutte le superfici disponibili, dal titolo “Tra passato e presente”.